L'edificio, formato da un corpo centrale e diversi 'satelliti' collegati, copre una superficie totale di 12.000 metri quadrati. Lo scavo delle fondamenta è iniziato nell'autunno del 2018: ora comincia la parte di costruzione vera e propria. Il termine è previsto a fine 2021.
Curarsi in una casa sull'albero: l'hospice pediatrico di Bologna disegnato da Renzo Piano.19/4/2019 Tutti i bambini hanno diritto alla speranza, al sogno, finanche alla bellezza. Specialmente quei bimbi che devono affrontare terribili malattie, lunghi periodi di sofferenza e di disagio, lontano dalla propria casa e dalla loro cameretta, e che leggono negli occhi delle loro famiglie preoccupazione e disperazione. L'architettura può trasmettere ottimismo, voglia di vivere, e appunto bellezza. E' la sfida che ha accettato Renzo Piano, che ha disegnato il progetto dell'hospice pediatrico voluto dalla Fondazione Hospice 'MariaTeresa Chiantore Seragnoli' che sorgerà a Bologna accanto all'ospedale Bellaria. Piano ha ipotizzato una struttura di 4500 metri quadrati, che si sviluppa in più padiglioni connessi, con quattordici camere singole e otto appartamenti, messi a disposizione dei familiari dei piccoli degenti; sorgerà all'interno di un bosco con 390 alberi, sia sempreverdi sia a foglia caduca, e 5mila piante di arbusto. "Si è fatta subito strada - spiega Piano - l'idea di una casa sull'albero, perché richiama quello che è il sogno di ogni bambino. Gli alberi sono poi metafora di guarigione, danno l'idea del 'sollevare', che ha la stessa radice di 'sollievo', cioè tolgono peso al dolore. Vita e sofferenza si mescolano, l'elemento comune è la compassione in senso etimologico". "Costruire è l'opposto di distruggere: se costruisci un luogo di compassione e passione e di solidarietà, è positivo" osserva Renzo Piano.
L'edificio, formato da un corpo centrale e diversi 'satelliti' collegati, copre una superficie totale di 12.000 metri quadrati. Lo scavo delle fondamenta è iniziato nell'autunno del 2018: ora comincia la parte di costruzione vera e propria. Il termine è previsto a fine 2021.
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Intervista di Fulvio Iraee per Il Sole 24 ORE Ero al Cern di Ginevra quando ho saputo del crollo del ponte Morandi ed è stato un colpo micidiale, l’affacciarsi del lutto nello scenario di una città ferita in questi ultimi anni da una sequenza di drammi allarmanti. Le alluvioni del 2011 e del 2014, poi, nel 2013, il crollo della “torre dei Piloti” investita da una manovra azzardata del “Jolly Nero” dove persero la vita nove persone: e ora questa tragedia inaudita del crollo del pilone centrale del Ponte sul Polcevera dove il conto delle vittime lascia attoniti e disperati». Renzo Piano è in montagna, nella casa studio dove si rifugia d’agosto per dare la carica ai suoi pensieri e organizzare la strategia dei suoi tanti impegni nel mondo. L’abbiamo raggiunto per una riflessione sul dramma della sua amata città, che resta sempre al cuore dei suoi pensieri perché, prima ancora che cittadino del mondo, Piano si sente orgogliosamente e, come dice, disperatamente genovese. «Genova è detta la Superba, ma l’appellativo non si riferisce all'idea di una vanagloriosa superiorità: è superba perché “superiore”, perché sale verso l’alto ed ha sempre avuto una capacità di reazione straordinaria: ora è ferita, addirittura bastonata, ma non rinuncia alla speranza. Dalle prime reazioni sento la voglia disperata di una rivincita contro calamità ed errori: Genova capisce che deve rimettersi in gioco, recuperare la capacità di riprogettare il futuro capitalizzando anche gli sbagli, le disattenzioni e il fatalismo che hanno preso vigore in questa nostra Italia, smentendo la nostra naturale propensione al fare e all'eccellenza del fare». Crede anche lei che, come si comincia a dire, il famoso Ponte dell’ingegner Morandi – una delle glorie dell’ingegneria italiana del Novecento - sia da considerarsi uno di questi errori? Morandi è stato, con Nervi, uno dei vanti dell’ingegneria italiana nel mondo e il suo Ponte era diventato un’icona dello spirito di innovazione del nostro Paese. Quando venne eretto il Ponte, da giovane architetto che negli anni Sessanta cominciava la professione, l’ho ammirato per la sua audacia: in quegli anni – i quasi quindici anni in cui si è prolungato il nostro dopoguerra - Morandi costruiva con l’entusiasmo di quei tempi... È presto ora per indicare con esattezza se le cause del cedimento siano imputabili all’audacia della progettazione o a difetti di cura. Ma certamente l’opera esprimeva la volontà di spingere l’Italia nella direzione di un grande ottimismo, senza il quale non ci sarebbe stato il miracolo della ripresa. Quella bellezza però era fragile, appunto: bisognosa di un'attenzione di una cura di cui nel tempo abbiamo perso la consuetudine. Curare una creatura come questa implica una sapienza diagnostica corrispondente alla complessità dell’oggetto. E questo significa che bisogna passare dall’opinione all'oggettiva conoscenza. Escludo categoricamente l’idea della fatalità... I ponti non crollano. Un ponte crolla solo per un bombardamento in guerra o per un attentato. Quindi il crollo del Ponte Morandi è in un certo senso il crollo del sistema Italia?
No, mi auguro anzi che ci sia una risposta adeguata a fronteggiare il futuro senza indugiare a criticare o rimpiangere il passato. Ma certamente voglio dire con chiarezza che a volte mi sembra che nel nostro paese si è spenta la fiaccola della scienza, la sua luminosa e confortante pretesa di sapere quello che si sa e ammettere di non sapere quello che non si sa, senza far finta di sapere sempre tutto. Dobbiamo ristabilire il valore della precisione scientifica, la pretesa della scienza di andare a fondo delle cose senza seguire il terreno dell’opinione. L’opinionismo è il contrario della razionalità della scienza, della responsabilità di scelte ponderate a lungo e perseguite con tenacia. Per questo il lutto di questa tragedia è triplice. Pensa alle vittime e ai danni alla struttura urbanistica di Genova? Sì, certo: alle vittime innanzitutto, a quell’innocenza rubata a chi andava in vacanza, a chi andava a lavorare e a chi stava al sicuro nella propria casa. Un destino ingiusto, intollerabile. Poi a Genova: un ponte come questo, crollando, trascina con sé il morale della città. Il Ponte sul Polcevera non era un ponte qualsiasi: univa le due anime di Genova: la città storica di Levante con l’anima operaia e industriale di Ponente, dove tra l’altro io stesso sono nato e vissuto. E infine il crollo del ponte Morandi si porta appresso la credibilità e l'identità stessa dell'Italia. Cosa bisognerebbe fare subito per evitare che le macerie diventino la metafora anche all'estero di un città che per la sua posizione ha un ruolo strategico nei flussi di persone e di merci, il ruolo di frontiera tra noi e l’Europa? Di un nuovo ponte Genova ha bisogno subito, come ha però bisogno di ripensare in una nuova visione il tema delle infrastrutture e della movimentazione. Sotto il ponte passa il sistema ferroviario, rendendo necessario un progetto urbanistico e ambientale moderno e coraggioso. Molti ignorano o hanno dimenticato che cos’è il porto di Genova: una fabbrica straordinaria che dà identità, benessere e orgoglio. Una fabbrica nel cuore della città: sbarrata dai monti alle spalle, Genova è cresciuta linearmente seguendo la costa: una città estesa e il porto sta nel mezzo. Come può sopravvivere privo di connessioni? Il porto produce ricchezza non solo per la città ma per l’Italia: dunque è un'infrastruttura strategica per il sistema nazionale e come tale richiede un impegno dello stato forte e indirizzato. Bisogna dunque pensare a un insieme coordinato di proposte che affianchino, ad esempio, alla proposta della Gronda Nord, un nuovo trasporto per acqua dal centro a Voltri, a Pra, ecc. Bisognerà realizzare una metropolitana di superficie lunga quanta tutta la città sul mare, utilizzando le circa venti stazioni storiche da Voltri a Nervi. Che già esistono e sono ancora in funzione, per la lunghezza di una ventina di chilometri Le stazioni di Voltri, di Pegli, di Cornigliano, di Pra, ecc. costituiscono già un sistema metropolitano che allevierebbe l'entroterra dal peso di un traffico su gomma sempre più insostenibile. Dunque, il cantiere come risposta alle macerie dei crolli? E come ha scritto il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia sul Sole 24 Ore: «Lavorare uniti per le soluzioni». Sì, il cantiere, come il ponte, unisce nella speranza della costruzione. Il cantiere è metafora di unione, di collaborazione, di coesione di sforzi sincronizzati a realizzare qualcosa che non esiste ma che renderà la vita migliore. Nel cantiere – e a Berlino sono arrivato a coordinare quasi cinquemila operai – spariscono le differenze, si valorizzano le competenze ( ricordo a Londra, nello Shard, i minatori che lavoravano agli scavi sotto terra e agli alpinisti sospesi ai cavi per montare le lastre di vetro delle facciate), si sviluppa l'orgoglio di fare bene assieme. Genova deve reagire al crollo con nuovi cantieri e con idee per il futuro, ad esempio e innanzitutto, riconquistando l’acqua alla città. Sta per partire a dicembre il progetto Waterfront che si propone di ridefinire l’affaccio di Genova sul mare , decementificando tutto quello che appartiene a un passato ormai inservibile e ostile: riconquistare il rapporto con l’acqua a valle significa smettere di crescere verso l’alto. E quindi riprogettare il sistema idrogeologico, dovuto anche alla deforestazione e alla cementificazione selvaggia, che tanti lutti ha portato alla nostra città. Basta crescere per estensione e addizione: puntare invece sull’inclusione e sulla trasformazione, usando le aree dismesse industriali, ferroviarie e portuali. Perché il destino di Genova è disegnato sull'acqua.
Concept and Executive Project: Mario Cucinella Architects: Mario Cucinella, Marco Dell’Agli (coordination); Project Team: Valentino Gareri (architect in charge), Federico La Piccirella, Arianna Balboni, Francesco Galli, Mirco Bianchini, Clelia Zappalà; Renderings: Paris render studio; Mechanical Project: Riccardo Giannoni; Electrical Project: Studio tecnico P.S.; Structural Project: Sarti Ingegneria; Quantity Surveyor: Roberto Guidi; Acoustics Consultant: Gabriele Raffellini; Executive Team: Studio Zecchini (mechanical project), Pampuri (electrical project), Ing. Chierici and Ing. Patrick Falcin (structural project); Works Manager: Marco Dell’Agli; Safety Coordinator: Luca Lenzi; Tests: Lorenzo Travagli; Main Contractors: Stone (team leader), Aleberti & Tagliazucchi (plants), Cometa (iron works), Schüco International Italia (building envelope), BI.PI.EFFE (installation of Schüco solutions); User: Comune di Bondeno. Photos: Daniele Domenicali
Realizzato grazie a un Fondo di Solidarietà per la ricostruzione post sisma 2012, il nuovo Centro Sport e Cultura di Bondeno è destinato ad attività sportive, ricreative e culturali. Una costruzione che nasce dalle tradizioni locali, per diventare parte della quotidianità della popolazione e offrire alla cittadinanza nuovi spazi di aggregazione e di diffusione culturale.odificare.
L’intervento ha visto la realizzazione di due edifici cilindrici che si ispirano alle forme tipiche delle terre rurali del luogo, come i silos o le balle di fieno. L’intento è donare ai cittadini una costruzione che nasce dalle tradizioni del luogo, dai suoi elementi distintivi riconoscibile e vicina alla popolazione. Ogni cilindro ospita funzioni distinte.
L’edificio di dimensioni maggiori ha una grande sala di 250 m2 dalla struttura estremamente flessibile, utilizzata per conferenze, spettacoli teatrali, esposizioni, fino ad attività sportive leggere. La capienza totale raggiunge i 220 posti, ripartiti fra platea e ballatoio.
Completano l’edificio il foyer e gli spazi di servizio. Il cilindro più piccolo è adibito ad attività didattiche e di promozione delle specialità enologiche e gastronomiche del territorio. La tecnica costruttiva è mista in acciaio e legno. Le pareti circolari sono interamente vetrate per ottimizzare l’illuminazione naturale e la permeabilità visiva.
Una schermatura in acciaio protegge le vetrate dal sole, per ottimizzare l’irraggiamento e il riscaldamento passivo interno. Un sistema di pannelli fotovoltaici sulla copertura del cilindro maggiore garantisce la produzione elettrica per la gestione di entrambi gli edifici.
Uno degli aspetti più innovativi e originali dell’operazione è il team dei progettisti formato da Mario Cucinella e da sei giovani architetti e ingegneri under 30 che, partendo dalle richieste delle popolazioni, in stretta collaborazione con le istituzioni comunali e regionali e con la struttura del Commissario per la Ricostruzione, hanno sviluppato i progetti.
L’architetto argentino Luciano Kruk ha progettato Casa S+J a Costa Esmeralda, località costiera a quattro ore dalla città di Buenos Aires. Nonostante l’area di progetto sia praticamente pianeggiante, il lotto presenta una lieve pendenza verso il retro. Lo studio ha provato a preservare il più possibile la fitta foresta di pini, rimuovendo solamente alcuni alberi per costruire la casa. I clienti, un gruppo di due famiglie, chiedevano due alloggi indipendenti, che potessero anche essere affittati.
Il progetto è una residenza costruita interamente di cemento a vista, con spazi interni minimali e che necessita poca manutenzione. Una particolare attenzione è stata posta sulla necessità di stabilire una relazione fluida tra spazi interni ed esterni, per consentire ai residenti di vivere a contatto con il bosco. Se il guscio esterno e le partizioni interne sono di calcestruzzo a vista, i pavimenti sono di cemento levigato. Per evidenziare le aperture rispettando la matericità della casa, sono state installate delle finestre di alluminio anodizzato bronzo scuro.
La casa è organizzata su due piattaforme a livelli diversi, collegate tra loro da scalinate e da uno spazio vuoto in cui la foresta di pini diventa parte della casa. Sulla piattaforma più bassa si trovano gli spazi comuni, con una grande terrazza aperta che si affaccia sul retro del lotto. I passaggi smaltati che collegano le piattaforme attraversano il vuoto centrale e sono immerse nella vegetazione. Il patio fa entrare la luce filtrata dalla chioma dei pini e introduce nell’abitazione l’energia vitale del bosco.
Casa S+J House, Costa Esmeralda, Argentina
Tipologia: casa unifamiliare Architetto: Luciano Kruk Collaboratori: Belén Ferrand, Andrés Conde Blanco, Darío Cecilian Superficie: 189 mq Completamento: 2016
Uffici, case, alberghi, ospedali, scuole, interamente ricoperti di alberi e piante. Sarà la Città Foresta, un polmone verde, contro l'inquinamento atmosferico mirante all'autosufficienza energetica e alla sostenibilità ambientale, che entro il 2020 sorgerà in Cina a Liuzhou progettata dallo studio italiano Stefano Boeri Architetti.
Stefano Boeri ha escogitato un modo ingegnoso per ridurre lo smog delle città: grattacieli di foreste al posto di vetro e metallo che riflettono luce solare e riscaldano le città. Così la forestazione urbana, attraverso ambiziosi progetti, sarà destinata a prendere sempre più spazi, oltre i semplici giardinetti di quartiere.
La nuova città verde, che sarà totalmente cablata, sarà collegata alla città di Liuzhou da una linea ferroviaria veloce, utilizzata da automobili a motore elettrico e sarà destinata ad ospitare zone residenziali di diversa natura e spazi commerciali e ricettivi, oltre a due scuole e un ospedale.
Liuzhou Forest City disporrà di tutte le caratteristiche di un insediamento urbano pienamente autosufficiente dal punto di vista energetico, a partire dalla geotermia per il condizionamento degli interni e dall'uso diffuso dei pannelli solari sui tetti per la captazione delle energie rinnovabili.
Ma la grande novità del progetto di Stefano Boeri Architetti è la presenza di piante e alberi su tutti gli edifici, di qualunque dimensione e destinazione siano. Nel complesso Liuzhou Forest City ospiterà 40.000 alberi e circa 1 milione di piante di più di 100 specie.
La diffusione delle piante non solo lungo i viali, nei parchi e nei giardini, ma anche sulle facciate degli edifici, consentirà ad una città già autosufficiente dal punto di vista energetico di contribuire a migliorare la qualità dell’aria, assorbendo circa 10.000 tonnellate di CO2 e 57 tonnellate di polveri sottili e producendo circa 900 tonnellate di ossigeno all'anno,
La forestificazione della città consentirà, inoltre, di ridurre la temperatura media, di generare una barriera al rumore, aumentando la biodiversità delle specie viventi attraverso anche la creazione di un sistema di spazi vitali per gli uccelli, gli insetti e i piccoli animali che abitano il territorio di Liuzhou, nella provincia meridionale e montuosa dello Guangxi, in un’area di circa 175 ettari lungo il fiume Liujiang.
Una volta ultimata, in circa tre anni, la nuova città di 30.000 abitanti sarà in grado ogni anno di assorbire circa 10.000 tonnellate di CO2 e 57 tonnellate di polveri sottili e di produrre circa 900 tonnellate di ossigeno. Liuzhou Forest City sarà costruita a nord di Liuzhou, nella provincia meridionale e montuosa dello Guangxi, in un’area di circa 175 ettari lungo il fiume Liujiang.
Luogo: Liuzhou, Guangxi, Cina
Partner: Stefano Boeri, Yibo Xu Project leader: Pietro Chiodi Architetti team: Julia Gocalek, Yinxin Bao, Shilong Tan con Giulia Chiatante Cooperative Design Institute in Cina Shanghai Tongyan Progettazione Architettonica e Progettazione Co. Ltd.
Il nuovo edificio progettato da RPBW sorge nel cuore dei vigneti di Château La Coste. Il padiglione di 285 sqm servirà a esibire mostre d’arte e a conservare il vino.
In dialogo con la topografia naturale del terreno, si è deciso di “intagliare” il terreno per sei metri di profondità e di incorporare completamente l’edificio nella vigna.
Le facciate vetrate e il tetto contrastano con il semplice e grezzo calcestruzzo a vista, utilizzato sia per gli spazi destinati alla conservazione che per quelli espositivi.
L’edificio parzialmente interrato mette in evidenza il tetto rivestito di tessuto, fissato a sottili archi di metallo. La struttura reinterpreta il layout grafico delle viti, con l’intenzione di integrare la vela al vingneto.
Come un aquilone, la copertura enfatizza la leggerezza e l’orizzontalità dell’edificio. Al suo interno, mostre di scultura e fotografia sono esposte in una galleria di 160 mq, illuminata naturalmente. La superficie rimanente è dedicata alla conservazione del vino.
Lo spazio espositivo è circondato dalle cantine, la cui scala è evidenziata dalle nicchie all'ingresso della galleria. Dall'edificio della reception, i visitatori devono seguire un percorso stretto fino al padiglione di RPBW. Alla fine del sentiero, un leggero pendio porta i visitatori all'ingresso della galleria della mostra.
Nella parte posteriore dell’edificio, uno spazio dedicato alla scultura è esteso da uno specchio d’acqua che riflette interamente la larghezza del padiglione.
Photography pavilion, Le Puy Ste Réparade
Tipologia: padiglione Architetto: Renzo Piano Building Workshop Team di progetto: J. Moolhuijzen, D. Rat, M.van der Staay (partner and associates in charge) with K. Lim; O. Aubert, C. Colson and Y. Kyrkos (models) Struttura copertura: Arup Struttura e impianti: AECOM Architetto locale: Tangram Architectes Gestione progetto e costruzione: Rainey Best Superficie: 285 sqm Completamento: 2017
All’inizio del ‘900, nella splendida area a vocazione turistico- residenziale di Coroglio, prospiciente una veduta mozzafiato nella quale si sovrappongono le prospettive di tre isole Nisida, Ischia e Procida, oltre al litorale flegreo con Pozzuoli e Monte di Procida, furono realizzate le acciaierie ILVA, dopo la seconda Guerra Mondiale, vennero ribattezzate Italsider. Anni di accumulo di scorie tossiche, dopo le dismissioni degli impianti, hanno impedito la realizzazione di un parco e di zone turistico-residenziali in attesa del risanamento dell’area e del ripristino della linea di costa.
Il progetto “Coropolis”- utopia possibile, cerca di spezzare così il circolo vizioso che si è venuto a determinare, offrendo una proposta legata al pensiero di grandi maestri dell’architettura (F.L.Wright, Le Corbusier, A. Loos), per i quali, liberare il territorio significava sviluppare in altezza pochi edifici che assorbissero la volumetria concessa, lasciando grande spazio a parchi, viabilità e parcheggi a raso, conservando alcuni edifici di archeologia industriale e alcune presenze totemiche, trasformandole in attrezzature di quartiere, a queste va ad aggiungersi un ponte che alleggerisce la discesa di via Coroglio, rendendola a senso unico e portando il traffico da Posillipo alla nuova struttura, attraverso un autosilo ed alcuni locali panoramici, insieme ad un’area ecclesiale, come importante luogo di aggregazione.
Gli edifici residenziali sono articolati al loro interno con vere e proprie ville panoramiche a due livelli, collegate con sale interne suscettibili di ampliamenti o di ulteriori modifiche. Lungo il loro sviluppo è previsto un asilo nido, un doppio piano impianti, quattro piani terminali adibiti a beauty farm e ristoranti panoramici. I primi cinque piani che formano un ampia piastra di collegamento fra due o quattro unità residenziali sono adibiti a strutture commerciali, grandi magazzini, locali per esposizione e piazze interne.
Negli edifici destinati ad alberghi, disposti sulla prima linea del mare, a monte di via Coroglio, quattro camere fornite di terrazze e grandi superfici vetrate, sono suite a quattro letti e due salotti, ma opportunamente divisibili in due unità da due letti. Lungo il loro sviluppo verticale è stato ricavato un doppio piano impianti, una ludoteca e gli ultimi quattro piani contengono due diverse tipologie di ristoranti, una piscina ed una beauty farm. I primi quattro piani a terra contengono sale convegno, shopping centre, caffetteria per la prima colazione e saloni per ricevimenti. Gli edifici con le loro piastre occupano meno di un quarto delle aree libere, lasciando grande spazio a parchi e luoghi di sosta, fontane e specchi d’acqua. Come si vede in questo progetto sono indicati tutti i caratteri di un quartiere autosufficiente, nel quale, il verde e i luoghi di aggregazione, potrebbero consentire un’alta qualità della vita.
Purtroppo i regolamenti ed i divieti ecologici rendono questa operazione poco probabile, ma dato che l’architettura dovrebbe avere come compito specifico il benessere dei suoi abitanti, forse varrebbe la pena sperare che un giorno gli impedimenti burocratici possano essere superati, restituendo all’area individuata una destinazione d’uso in sintonia con le bellezze paesaggistiche che le sono connaturate.
Cenni biografici
Nicola Pagliara nasce a Roma. Dopo aver trascorso la sua adolescenza a Trieste, nel 1947 si trasferisce a Napoli. Nel 1958 si laurea in Architettura, a pieni voti, con una tesi sul liberty napoletano dell’inizio ‘900 e l’anno successivo inizia l’attività didattica conseguendo la libera docenza nel 1969. Nel 1977 diventa professore Ordinario di Progettazione Architettonica e due anni dopo, nel 1979, è insignito dal Presidente della Repubblica del premio per l’Architettura dell’Accademia di San Luca. Nel suo “lungo viaggio” nel mondo dell’architettura, ha pubblicato diversi saggi ed album di progetti, e le sue opere sono state recensite ed ospitate dalle più importanti riviste nazionali ed internazionali. Iscritto all’Albo dei Pubblicisti, scrive sulle pagine di Napoli del quotidiano “La Repubblica” articoli di varia umanità, dopo aver condotto, per molti anni, la rubrica “L’Opinione” per il “Giornale di Napoli“.
Il Centro Botín è uno spazio per l’arte che svilupperà anche attività educative e culturali. Si trova in una posizione strategica, nella baia di Santander. Il progetto ripristina un luogo chiave per la città spagnola; l’area non solo si affaccia sul mare, ma è vicina al centro storico e adiacente a uno splendido spazio pubblico, gli storici Jardines de Pareda. Il progetto stabilisce un nuovo legame tra la città storica e il mare, mentre la strada che divideva i giardini dalla costa è stata interrata.
Il Centro Botín si trova rialzato, metà sulla terra e metà sopra l’acqua. In questo modo si libera la vista della costa per le persone che passeggiano nei giardini, con il centro culturale che sembra galleggiare e muoversi senza sforzo all'altezza degli alberi, e può essere intravisto attraverso il loro fogliame. Una serie di passerelle leggere separa i due volumi arrotondati dell’edificio e crea una nuova piazza. La parte a nord della costruzione, elevata sul livello del suolo, è una piazza completamente pubblica. Scale e ascensori conducono ai due blocchi del centro d’arte. L’edificio crea un aggetto di venti metri sul mare.
La struttura è suddivisa in due padiglioni speculari ma non uguali, che si reggono su dei pilastri, lasciando libero il piano terra con una sorprendente sensazione di leggerezza. A dividere i due padiglioni uno corridoio vuoto che è la continuazione ideale della Plaza Porticada, creando un flusso tra la città e la nuova costruzione che finisce con la spettacolare passerella che affaccia sulla baia.
Le due forme lobate del Centro Botín sono il risultato di studi approfonditi, durante i quali è emerso che la forma arrotondata avrebbe portato più luce al piano terra, massimizzando inoltre la vista dal parco al mare. Su entrambi i volumi dell’edifico, le facciate sono ricoperte con 280.000 piastrelle di ceramica leggeremente arrotondate, perlate e vibranti. Queste riflettono la luce del sole, i riflessi dell’acqua e l'atmosfera rarefatta della Cantabria.
Il padiglione più grande 2500mq, è quello che sarà dedicato all’arte. Grandi mostre di arte moderna e contemporanea, unitamente ad una collezione permanente si distribuiranno sui due piani. Le luminosissime sale ( che noi abbiamo visto indivise ) affacciano tanto sul mare quando sulla città, e in particolare dalle grandi vetrate si vede la bella costruzione ad arco che ospita la sede originaria del Banco di Santander.
Il secondo padiglione è quello invece dedicato più strettamente alla città, con, tra le altre cose, un meraviglioso auditorium di 300 posti, la cui vista sull’acqua è senz'altro unica!
Tutta la parte esterna dell’edificio che non è composta da vetrate è ricoperta di lenti in ceramica che hanno il potere di riflettere i colori del mare e del parco circostante, creando una particolare assonanza con il mutevole tempo atmosferico tipico della Spagna del Nord. Questi dischi di ceramica hanno una storia. Quando è stato preparato il progetto, gli abitanti di Santander potevano adottare gratuitamente uno di questi dischi, facendo imprimere il proprio nome all'interno, un bel m odo per legare la popolazione a questo nuovo grande progetto.
Piano è stato scelto per la sua capacità di integrare la natura nei suoi progetti, e infatti il preesistente Parque Pereda è stato triplicato nelle dimensioni, e a questo scopo anche il corso della strada è stato interrato con una galleria.
Si tratta della prima opera di Renzo Piano in Spagna. "Sono molto onorato di aver ideato questo progetto per la città di Santander” afferma Renzo Piano, “perché fa parte del mio personale percorso ptrofessionale inerente i centri culturali aperti, tolleranti e accessibili a tutti, dal Centre Pompidou di Parigi all'Auditorium di Roma, passando dalla Fondazione Beyeler a Basilea, dalla Morgan Library di New York e dall'Art Institute di Chicago, tutti luoghi urbani e amati dalla gente”.
E’ chiaro che l’intento è quello di inserirsi nel flusso turistico generato dagli estimatori d’arte che ogni anno si riversano alla vicina Bilbao grazie al Museo Gugghenheim, e il pool chiamato a sovrintendere il progetto rende il tutto molto più che una promessa: Vicente Todolí, già direttore della Tate Modern di Londra, sarà colui che dirigerà il Centro Botin.
Non ancora finito, l’impatto della costruzione è incantevole…non resta altro che attendere l’imminente apertura per vedere l’opera completata!
Il Centro Botín si presenta come un nuovo luogo di incontro nel centro urbano che, tramite l'arte, la musica, il cinema, il teatro e la letteratura, vivifica la vita della città per rafforzare il suo tessuto sociale e culturale.
Situato a sbalzo sul mare, l'edificio non tocca terra, è sospeso su pilastri e colonne, all'altezza delle cime degli alberi dei Giardini, come se fosse un molo sul mare. Ciò permette il passaggio della luce e consente le viste sulla baia, in piena integrazione con il contesto.
Un appezzamento di terreno coltivato, una piccola azienda agricola di sussistenza per la coltivazione di colture e alberi da frutto, spesso anche la dimora del contadino.
Un grattacielo modulare, crescente in altezza, concepito come un centro educativo e mercato per nuove comunità agricole. Una piccola superficie fertile e un'idea innovativa di edificio, nasce così il progetto che mira ad aumentare le opportunità di coltivazione e ridurre la fame nelle regioni povere dell'Africa sub-sahariana. Mashamba - Swahili, Africa orientale
Nel corso degli ultimi 30 anni, in tutto il mondo la povertà assoluta è fortemente diminuita (da circa il 40% a meno del 20%). Ma nei paesi africani, la percentuale di povertà è calata di poco, quasi la stessa. Ancora oggi, infatti, oltre il 40% delle persone che vivono in Africa sub-sahariana vive in povertà assoluta, nonostante che molte di loro, più della metà, hanno in comune di essere piccoli agricoltori.
Eppure in tutto il mondo la rivoluzione verde, grazie all'evoluzione dei fertilizzanti, alle più efficaci tecniche di irrigazione e al maggior rendimento delle sementi, ha portato più che al raddoppio della produzione di grano negli ultimi 50 anni. Ma ciò non è avvenuto in Africa, nonostante i vari tentativi fatti, a causa della carenza di infrastrutture, mercati limitati, governi deboli, guerre che devastano il continente postcoloniale. Per questo, l'obiettivo principale che ci si è posti con questo progetto è di avviare e favorire questa rivoluzione verde per le persone più povere nelle terre sub sahariane. Fornire formazione, fertilizzanti, semi ai piccoli agricoltori può creare e dare loro l'opportunità di aumentare e migliorare la produzione agricola, come le più moderne fattorie. Quando gli agricoltori sono in grado di aumentare i loro raccolti, si tirano fuori dalla povertà. Se sono in grado di arrivare persino a una eccedenza di produzione, rispetto al fabbisogno familiare, possono anche aiutare i vicini. Così, se gli agricoltori prosperano, si sradica la povertà e la fame in tutta la loro comunità. Il progetto Mashambas, quindi, nasce dall'idea di centro educativo mobile, che si sviluppa nelle zone più povere del continente. Esso fornisce l'istruzione, la formazione sulle tecniche agricole, fertilizzanti economici e strumenti moderni; ma deve anche creare un ambito di commercio locale, che massimizza i profitti delle vendite di raccolta. L'agricoltura fiorisce e si sviluppa intorno all'edificio mentre la conoscenza si diffonde verso l'orizzonte. La struttura cresce di pari passo con l'aumentare del numero di agricoltori che accoglie, fino a quando la comunità locale diventa autosufficiente. Svolto il suo compito e raggiunto l'obiettivo, la struttura può essere facilmente rimossa e rimontata in altri luoghi per dar corso a un nuovo ciclo di miglioramento della produzione e distribuzione dei prodotti agricoli. Per questo motivo, la struttura è stata pensata per essere realizzata con elementi modulari semplici, in modo da renderne facile la costruzione, la scomposizione e il trasporto. I Moduli posti uno sull'altro creano il grattacielo che, come si sa, essendo una struttura che si sviluppa in verticale, occupa in superficie meno terreno, lasciandolo a disposizione della coltivazione agricola. Oggi la fame e la povertà possono sembrare soltanto una questione africanana, ma la popolazione mondiale probabilmente raggiungerà i nove miliardi entro il 2050, per cui potrebbe esserci, in futuro, una carenza alimentare globale. Così, le terre fertili dell'Africa, potrebbero non solo nutrire la propria popolazione in crescita, ma anche la restante popolazione del mondo. Legami Ordinari. La proposta di riqualificazione della Città Vecchia di Taranto del gruppo MATE.10/4/2017
Legami Ordinari, progetto del gruppo MATE, propone una visione di sviluppo che pone al centro la valorizzazione del patrimonio culturale e sociale, ambientale e storico, e la ricostruzione di una “cultura di cittadinanza capace di riportare la società tarantina a riconoscersi nelle proprie radici“.
La proposta intende riassegnare alla città la sua funzione sociale ed ecologica, per conseguire progressivamente l’accesso universale a condizioni ambientali certe, la piena realizzazione del diritto a una città come spazio abitabile, la disponibilità per tutti di beni e servizi pubblici essenziali.
Il progetto intende proporre la riqualificazione profonda della Città vecchia ricostruendo una trama di legami ordinari che ha nella Città vecchia la sua matrice ordinante, ovvero ridefinendo quei legami tra elementi di cittadinanza, oggi estranei, e parti di città che si confrontano sulle rive dei due mari senza avere corrispondenze virtuose.
La valorizzazione del patrimonio culturale urbano sarà strettamente integrata nella strategia di rigenerazione urbana proposta per migliorare la vivibilità dell’intera città. Le tre parole chiave individuate come priorità strategiche e morali per la rinascita della città di Taranto, su cui tutto il progetto si fonda, sono: Ambiente, Qualità della vita, Salute. Il tutto in una prospettiva di inclusione e di rilancio economico durevole.
Secondo i progettisti, “L’obiettivo di ricostruire legami ordinari tra i sistemi presenti sul territorio e quello che resta della Città vecchia, è necessario per scongiurarne la conservazione passiva, la musealizzazione e la gentrificazione senza regole e per promuovere modelli di sviluppo economico e di turismo sostenibile, alternativi e vitali, utili alla costruzione di un modello da contrapporre all'inevitabile percorso di deindustrializzazione che rischia di desertificare un territorio ricco e vitale”.
La proposta prevede i seguenti interventi tematici:
Secondo un sistema che progressivamente dall'esterno verso la Città vecchia seleziona i flussi e scoraggia l’utilizzo della mobilità privata su gomma, la proposta prevede l’organizzazione di Nodi di scambio, alla Stazione ferroviaria e in Piazza Garibaldi, che consentano il passaggio tra le diverse forme di mobilità a favore di sistemi collettivi sostenibili di collegamento e attraversamento dell’isola-Città vecchia.
Due nuove passerelle pedonali assicurano il potenziamento delle connessioni ciclopedonali con il resto della città. Il modello si completa poi con la rete dei parcheggi nei tessuti recenti di Porta Napoli e del Borgo Nuovo, e con il nuovo servizio del Metro Due Mari costituito da idrovie e approdi che innervano sia l’affaccio sul Mar Grande che quello sul Mar Piccolo.
SCHEDA PROGETTO #legàmi_ordinari Vincitore del Concorso internazionale di idee Open Taranto Progettisti MATE, Nigro, SPSK, Ezquiaga, Falini, Petralla, Frediani MATE Soc. Coop. – dott. urb. Raffaele Gerometta – Capogruppo (Bologna) arch. Francesco NIGRO (Roma-Paris) SPSK – arch. Emiliano Auriemma, arch. Carola Clemente, arch. Matteo Giannini (Roma) arch. Jose Maria EZQUIAGA (Madrid) prof. arch. Paola Eugenia FALINI (Roma) ing. arch. Maria Cristina PETRALLA (Bari-Roma) arch. Daniele FREDIANI (Roma) |
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Aprile 2019
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